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di Livio Spinolo – “La sfida sarà mantenere la genuinità dello sport, di proteggerlo dalle manipolazioni e dallo sfruttamento commerciale. Sarebbe triste, per lo sport e per l’umanità, se la gente non riuscisse più a confidare nella verità dei risultati sportivi, o se il cinismo e il disincanto prendessero il sopravvento sull’entusiasmo e sulla partecipazione gioiosa e disinteressata. È importante lottare per il risultato, ma giocare bene, con lealtà lo è ancora di più.” Questo il discorso che Papa Francesco pronunciò nel 2016 all’apertura del convegno mondiale sullo sport al servizio dell’umanità.La scomparsa del Papa ha toccato un po’ tutti, non soltanto i credenti, perché i valori che ha rappresentato sono universali: l’attenzione alla sofferenza, dei detenuti, dei malati, dei poveri, in sintesi, del mondo intero, è un’espressione di solidarietà che va oltre il credo religioso, bussando alle coscienze di tutti. E il grido di pace, più volte levatosi da San Pietro attraverso la sua voce, è stato il grido dell’umanità tutta, quella che lui instancabilmente voleva unire, ben oltre i confini del mondo cattolico. Di fronte a una persona che non è mai stata personaggio, rifuggendone con forza gli orpelli e le vuote apparenze, ma che ha sempre voluto spendersi, completamente e ultimamente anche oltre i propri limiti fisici, per medicare le ferite dei popoli, parafrasando un’immagine della Chiesa a lui tanto cara, parlare di sport può suonare riduttivo. In effetti è così. O forse no. Perché quel discorso di quasi dieci anni fa è un manifesto meraviglioso di quello che è lo sport, una sorta di ritorno alle origini che è necessario compiere ogni tanto per non perdere mai di vista il senso di quello che facciamo: per chi di sport vive, avendo il privilegio di farne una professione, per chi di sport parla, come capita un po’ a tutti noi, ma soprattutto per i bambini che lo vivono con quell’entusiasmo figlio del gioco, che tutti abbiamo il diritto di conservare nel nostro cuore. Jorge Bergoglio, c’era proprio il suo nome in una delle tessere da tifoso del club San Lorenzo, squadra argentina di cui era simpatizzante: fatto inedito e al tempo stesso bellissimo perché ci trasmette tutta la sua “normalità” ma soprattutto la sua vicinanza a ciascuno di noi, attraverso gesti quotidiani, comuni di chi è fra la gente, con la gente. Ma in quel discorso c’è altro, c’è anche un monito, che ci mette in guardia dai pericoli che possono inquinare la bellezza di un gesto tecnico o la voglia di dare il meglio di sé per raggiungere un risultato: doping, scommesse, violenza sono la gramigna da cui difendere l’albero dello sport, perché deve restare il terreno del sogno per i più piccoli, il giardino di una sana passione per chi non lo è più ma non deve mai dimenticare di esserlo stato.